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La storia della Via Crucis

L’idea nacque a metà degli anni settanta. Un manipolo di giovani,  per vincere la noia che rischiava di regnare sovrana, specie durante i lunghi inverni ravellesi, si adoperò per  trovare una soluzione. Un lampo, una “follia”, un’iniziativa che potesse coinvolgere l’intera popolazione, dove ognuno avrebbe potuto trovare  un ruolo, liberando il proprio spirito creativo.

 

Sì, perché Ravello è un paese di grandi potenzialità, di grandi risorse umane, che vanno dalla manualità più estrosa, alla intellettualità più raffinata. Il centro storico di Ravello, di notte, alla sola luce di fiaccole, sarebbe stato ancora più suggestivo,  e si sarebbe potuto prestare  ampiamente a un’iniziativa di altissimo contenuto religioso, culturale e sociale: la Via Crucis in costume.

 

Rivivere le ultime ore della vita di Cristo avrebbe trovato d’accordo un poco tutti. L’idea fu accolta con un entusiasmo coinvolgente. Le sere d’inverno sarebbero state riempite fattivamente. Non mancarono le difficoltà: dove reperire i costumi, come e dove allestire il Golgota, e poi gli “attori”, quali attori?.

 

Non mancarono neppure le perplessità del parroco del tempo, il quale era preoccupato sia perché lo spettacolo avrebbe potuto sovrastare l’aspetto religioso, sia per l’individuazione del giorno da destinare all’evento. La Settima Santa già si presentava ricca di celebrazioni.  Riuscimmo a trovare una soluzione condivisa. Per la data si stabilì la sera della Domenica delle Palme. Per quanto riguarda il rispetto della sacralità, si stabilì che , al momento della crocifissione, avremmo innalzato un crocifisso reale, e non l’attore che fino a quel momento aveva impersonato Gesù. Per i  due ladroni, invece,  non ci furono problemi.

Ci mettemmo subito all’opera. Tutti lavorarono a titolo gratuito. I fabbri prolungarono la loro giornata lavorativa, fino a notte fonda, per forgiare le fiaccole che avrebbero illuminato il percorso. I falegnami trascurarono impegni assunti per  creare l’adeguata attrezzeria, utile all’allestimento scenico. Le sarte e le semplici donne di casa si adoperarono per confezionare i numerosi costumi dei popolani. I giovani, inclini allo studio, affiancarono il parroco nella ricerca dei testi biblici. Gli elettricisti, gli esperti della fonica si impegnarono a ideare gli effetti speciali. La colonna sonora fu costituita dai maestosi canti dei battenti. Giovani, anziani, ragazzi, intere scolaresche, bambini, tutti furono coinvolti.

A Ravello e nei paesi limitrofi non fu possibile reperire un crocifisso ad altezza d’uomo, schiodabile e con le braccia snodabili per realizzare la scena della deposizione dalla croce. Riuscimmo a contattare un grande maestro nella patria della cartapesta, in quel di Lecce. Le abili mani dell’artista Pietro Indino realizzarono una stupenda statua di circa un metro e ottanta che, ancora oggi,  incanta devoti e non.

Per finanziare le spese non furono sufficienti i contributi pubblici. Venne fuori la generosità che è innata nei Ravellesi, e le offerte spontanee superarono anche le reali esigenze.

Nonostante gli sforzi, non riuscimmo a realizzare i costumi  più sofisticati e gli elementi di scena più complessi. Ci pensarono amici influenti, colpiti dal nostro entusiasmo, a venirci incontro: si adoperarono presso la direzione del Teatro San Carlo, per farci avere in prestito tutto quello di cui avevamo bisogno.  Rimaneva un’ultima difficoltà: reperire un mezzo idoneo per organizzare il trasporto.

Era oramai il venerdì che precedeva la Domenica delle Palme. Il tempo stringeva, non si poteva più indugiare. Una trovata geniale balenò nella mente di qualcuno di noi. In quegli anni il Comune aveva in dotazione un’autoambulanza che poteva essere guidata da chiunque fosse in possesso della patente di guida; potevamo utilizzare quella. Il Sindaco di allora, dopo un attimo di esitazione, anche per non tradire il nostro fervore, ci autorizzò. Arrivammo a Napoli con il fiato sospeso  per la paura che inevitabilmente prende chi non è avvezzo a certe trasgressioni. Parcheggiammo in prossimità dell’ingresso artisti del celeberrimo teatro, e subito suscitammo la proverbiale curiosità dei napoletani. In pochi minuti si formò un folto capannello. Tutti si aspettavano che dall’interno del teatro fosse portato fuori uno sventurato in barella. La meraviglia dei presenti raggiunse il culmine quando videro caricare sul mezzo, con nostro grande imbarazzo, non un ferito o un bisognoso di cure, ma scudi, lance, elmi, troni, costumi di soldati romani e di Caifa, ecc., tanto che uno “spettatore” esclamò: “Gesù! Gesù! Gesù! Cheste so’ nnummere!!!”, e si allontanò parlando ad alta voce. Suscitammo anche la simpatia di un costumista del San Carlo, che offrì spontaneamente la sua disponibilità a venire a Ravello, il giorno della manifestazione, per darci la sua collaborazione.

Sono trascorsi oramai quarant’anni dalla prima edizione. Oramai la Via Crucis è diventato l’evento più atteso dell’anno. La sua fama non ha smesso mai di crescere, superando anche i confini nazionali. L’entusiasmo è lo stesso, il coinvolgimento è totale, il fascino immutato. Chiunque vi prende parte, in qualsiasi ruolo e a qualsiasi titolo, ne rimane colpito e non riesce più a farne a meno. Esempio emblematico è un nutrito gruppo di nostri amici di Sorrento, che, assistettero a una delle prime edizioni; da quella volta  preannunciano con largo anticipo la loro partecipazione, non solo come figuranti, ma anche come magnifici esecutori di canti particolari.

Un appuntamento da non perdere; un’occasione per vivere un’esperienza unica e irripetibile nel  suo genere.

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